sabato 9 giugno 2012

Dal francese all'italiano. Come cambia una poesia: spostamenti

Esercizio. Si prenda una poesia contemporanea da un sito web come Poésie française (clicca qui) e la si traduca. Scelgo Mise en scène di Michèle Corti.
Si tratta di un poema che ricorre alle classiche figure retoriche e di stile: metonimia/sineddoche/analogia/metafora... una poesia, insomma, dotata di un forte linguaggio figurato e per ciò stesso molto visiva. Il verbo è tutto al futuro come fosse vagheggiamento, sogno. La  natura è protagonista prepotente ben più degli esseri umani. Ognuno ha un suo posto. Non a caso, il titolo della poesia di Michèle Corti (che non conosco) è Mise en scène (che poi è la messa in scena nel senso di *allestimento/regia teatrale*). Per dare maggiore efficacia alla traduzione, lasceremo il titolo in originale (come si fa con certi film americani di oggi).
Se confrontiamo il testo originale con la mia traduzione qui sotto riprodotta si noterà che ci sono alcuni spostamenti (il soggetto in posizione di complemento oggetto e viceversa), nonché qualche piccolo intervento sul lessico o sulla grammatica. Tutto ciò è normalissimo: 1) in italiano (più difficile in francese) si gioca facilmente con la posizione del soggetto e del complemento oggetto (le vent ramenera le soleil), contribuendo (almeno nelle intenzioni) con l'introduzione di un'ambiguità di breve effetto (riporterà il vento il sole: è il vento che riporta il sole o il contrario?) ad aumentare la poeticità del verso. Stessa motivazione per: agg. possessivo + aggettivo qualificativo + nome (à leurs pieds impatients) riproposto con uno spostamento (sui piedi loro impazienti); 2) la neve di petali non esiste in italiano, bensì - per quanto immaginifica - la nevicata); 3) quanto alle onde/ondate di ghiaia, il verbo *déferler* sta a indicare le due azioni dell'onda (o della serie di onde) che si gonfia: essa si innalza e poi si abbatte. Letteralmente: «infrangersi schiumando approssimandosi a un ostacolo o alla riva» [Se briser en écumant à l'approche d'un obstacle, du rivage, TLFi]. Quale senso vogliamo privilegiare? Si conta: déferler *sur, contre, dans, vers, en*. L'autrice introduce *aux* (in realtà = * à leurs*), ma l'italiano *ai piedi* ammette *s'infrange ai piedi* ma trova cacofonico e fuorviante  *infrangendosi ai piedi* (mi viene subito in mente un atto devozionale). 
Il risultato finale nella sua versione italiana è quello proposto qui di seguito:


 

www.comune-italia.it foto di Cavenago d'Adda

Michèle Corti : Mise en scène   


Ci saranno risate
e vetri rovesciati
un brivido di seta lacerata
sul davanzale del cielo
e l’occhio tuo blu come pervinca.

Ci sarà una nevicata di petali
dalla peluria tenera
sulla gota dei bocciòli.
La pioggia giocherà a campana nei rigagnoli
e la tua mano sminuzzerà sogni
per gli uccellini appena nati.
Ci sarà lo scricchiolio delle scale
sotto le sgroppate dei bimbi
e onde di ghiaia sonora
s’infrangeranno sui piedi loro impazienti.

Riporterà il vento il sole
attraverso le crepe nelle nubi
la scena s’illuminerà
e la primavera timida ancora un poco
starnutirà in un fazzoletto
profumato alla violetta.

(trad. di Jacqueline Spaccini)

Tradurre la poesia croata (Vesna Parun)

mok.hr

Per tutto ha colpa la nostra infanzia*

Siamo cresciuti soli come piante
ed ora siamo esploratori
di contrade disertate dalla fantasia
ignorando l'obbedienza del male.

Siamo cresciuti per le strade
e con noi è cresciuta la nostra paura
degli zoccoli selvaggi che ci avrebbero schiacciati
e dei muretti dei campi che avrebbero diviso
la nostra gioventù.

Nessuno di noi ha tutte e due le braccia.
Due occhi indenni. Né un cuore
ove un grido non trovi riparo.

In noi entrava un mondo discorde,
feriva le nostre fronti
con il fragore delle sue verità omicide
ed il baccano delle stelle tardive.

Ci facciamo vecchi. E le fiabe vengono a noi
come un gregge una luce segue in lontananza.
E simili a  noi sono i nostri canti:
gravi e tristi.

(traduzione di Jacqueline Spaccini)

* Vesna Parun,  Za sve su kriva djetinjstva naša (Clicca sul titolo croato per consultare la poesia nella lingua originale)

Cfr.  Né sogno né cigno, Spring edizioni, 1999

Tradurre una poesia in rima per esprimere l'ironia (dal croato all'italiano)

[Per la riflessione traduttiva, leggi qui

Zašto je umro slon

(Vesna Parun)

 

U šumi eukaliptusa živio dobričina slon

svakome spreman da pomogne,
al mravima posebno sklon.
Žao mu bilo gledati ih, onako malene, kako se muče
i kako s golemim trudom svaki
slamčicu svoju uz brijeg vuče.
Zato je šumom gustom oprezno koračao
pazeć da slučajno ne bi
nogom na mravinjak stao,
ili da ne bi u žurbi veselom nekom mravu
nožicu zgnječio ne hoteć, il – ne daj bože – glavu!
Gledao je slon kud gazi, da ne može bolje.
Al sigurno je sigurno.
I mravi dobričinu zamole
neka hoda što manje, pod drvetom nek stoji
nepomičan, dakako, i – ako je moguće –
samo na jednoj nozi, pa bilo mu hladno il vruće.
A ako mu je dosadno – slamčice može da broji,
to je prilično zabavno; a oni, sa svoje strane
oduûit će mu se – netom prilika bude za to!
I tako na jednoj nozi poživje dobričina slon
godinu dana i više, i vecma izgladnje on.
Niti je jeo nit pio, a i spavao je kojekako –
dobričina biti, hm, nije: uvijek baš lako.
Već su mu i rebra provirila ispod kože!
Najzad i mravi uvide da tako više ne moûe
i da će stari slon od gladi naprosto umrijeti.
Tada se jedan mrav iz pristojnosti sjeti
i slonu predloži:
Samo ti, starkeljo, lezi!
Ništa se ne boj. U naš dom,
na žalost, ti ne možeš ući;
al nije lijepo da se sad pravimo Englezi
i da te samog ostavimo!
Mi ćemo slamčice vući
i mrvice, i zrnje, i obilno te hraniti.
Ta tvoji smo prijatelji, i dužnici štoviše!
Psst! – prekinu ga ostali mravi – tiše!…
Dobričina slon umire: zaklopio je oči
i, po svemu sudeći, ne čuje nas više!…
I mravi se, da ne dangube, uokolo razmiliše
za svojim svagdašnjim poslom,
iskreno ucviljeni,
i još su dugo, dugo zdravi bili i živi.
Zapravo, ako razmislimo, oni i nisu krivi
što su tako sitni, te su i usluge njihove
takoćer tako neznatne, da ne mogu golemom slonu
uzvratiti jednakom mjerom.
Slon ima surlu i kljove,
i jak je i mudar; al treba dobro da otvori oči
kad bira prijatelje, da baš ne izabere onu
najmanju pasminu mravlju, kojoj je od postanka
mjera za ovaj svijet
i za ljubav – sićušma slamka!
colorare.it

 

Versione italiana 

Perché morì l’elefante

Nella foresta di eucalipti quieto viveva un elefante,
a chiunque pronto a dar soccorso,
e verso le formiche particolarmente ben disposto.
Spiacevagli veder l’affanno che si davan le piccoline,
e con quanta fatica le pagliuzze trascinavano dalle colline.
Pertanto, avanzava nella folta foresta,
assennatamente, e con la vista lesta
a non porre imprudentemente un arto
su di un formicaio, o nella fretta
a schiacciar di graziosa formica la zampetta
né – dio non voglia – incauto, il capo!
E meglio che poté, l’elefante verso il guado guardò.
Questo è poco, ma certo.
E le formiche il pacato elefante pregarono
di restar fermo sotto un albero, a mo’ di sentiero meno erto,
e se possibile solo su una zampa, con la pioggia e il bel tempo.
Se si fosse seccato, le pagliuzze contasse: un divertimento;
per loro conto, al momento dato, il debito avrebbero saldato.
Così su di una sola zampa visse calmo l’animale per anni e più,
avvertendo però una gran fame. Senza bere né mangiare,
e dormendo in modo invero poco abile
da mite ragionare, eh, non sempre è così facile.
Ormai le costole trasparivano dalla pelle
anche le formiche, quelle, capirono di non poter seguitare:
il vecchio elefante di fame morto sarebbe a lungo andare.
Una formica allora si ricordò delle buone pose
e al pachiderma propose:
Ma coricati, dunque, vecchietto!
Di nulla non temere. Ahimè, sotto il di noi tetto
non puoi entrare; ma certo non sarebbe molto aggraziato
se ora facessimo gli Inglesi, lasciandoti solo e abbandonato.
Trasporteremo noi le pagliuzze, noi formicuzze
e a vagonetti ti nutriremo di granetti.
Siamo tuoi amici no, anzi, siam tue debitrici!
- Sshh! - l’interruppero le altre formiche - Taci!
L’elefante sereno sta morendo: orsù,
ha chiuso gli occhi e – suppergiù – non ci ascolta più!
E le formiche, per non perder tempo,
alla comune vita lavorativa ripensarono un momento:
restarono a lungo vive e vispe
ma sinceramente meste.
Invero, a ben pensare, bisogna esser malevoli
se perché piccole vogliamo farne colpevoli,
i loro servigi furono di così poca grandezza
che all’elefante in egual misura non resero la stazza.
Egli possedeva proboscide e zanna,
forza e assennatezza,
ma nella scelta degli amici
gli occhi occorre tenere vigili,
ché nella razza degli insetti per colpa forse della taglia
il mondo come l’amor –
non son più grandi di un fil di paglia.
(traduzione di Jacqueline Spaccini) 
terranauta.it