Ideale giovane, soluzione senza progetto
di
Jean-Pierre
Ostende
Il 31 dicembre sera Paul e Marie si sono trovati.
A parte le centinaia di finestre e di tubi, i chilometri
di muri e di capannoni vuoti, quel che ho visto, d’acchito, in questa fabbrica
abbandonata, è un bambino sulla punta dei piedi davanti al lavabo.
Marie
Niro, un metro e settanta al risveglio, uno e sessantotto alla sera, ha lunghi
capelli mogano che tinge non per il gradimento del colore ma per la parola mogano. Da tre anni, la sua vita attiva
ha per oggetto una compagnia di prodotti farmaceutici.
Per quale motivo sono entrato
nell’ex-tabacchificio, questo stabilimento abbandonato di quarantamila metri
quadri?
Paul Gould,
un metro e ottanta di media, ha i capelli corti e bruni, tutti suoi, senza
impianti. Tre denti porcellanati in bocca gli fanno dire che questo è l’inizio
della sua trasformazione in cyborg, che si comincia così, con i denti di
porcellana in bocca.
Dev’essere bello venire la mattina e
riandarsene la sera. Avere dei colleghi.
La
vita attiva di Paul ha per cornice un laboratorio di fisica da cinque anni.
Fuori dal laboratorio, parla poco della
sua vita attiva. Preferisce stare zitto invece di schematizzare tutto. I suoi
commenti si riassumono in : “E’ andata bene” o “Abbiamo dei problemi”.
Con la mia carta in tasca, occorre una carta
formato 5 x 8, vado spesso alla fabbrica abbandonata. Sono un assiduo
frequentatore. D’altronde, non è nemmeno abbandonata. C’è gente d’ogni risma
che ci viene.
La
sera del veglione in discoteca, al Moteur,
il caso aveva voluto che Paul e Marie fossero seduti uno accanto all’altra,
nella sala numero cinque, “Decibel controllo”. Non hanno smesso di guardarsi.
Attraverso i
capannoni, visito la grande carcassa che è un po’ “…”. C’è un sacco di vuoto. Mi presto a destra e a
manca. Senza guardare.
Nella
sala numero cinque il livello sonoro della musica permette agli utenti di
bisbigliarsi paroline all’orecchio senza cuffia né microfono. Paul e Marie si
sono parlati senza indugi.
Incrocio sempre più persone. Alcune mi
dicono per prime buongiorno. Mi chiedono come va. Con altri è sufficiente un
cenno del capo. Solo per dire come mi sono adattato in qualche settimana.
Conosco quasi tutti. E ce n’è di gente. Se
non l’ho contata è perché non m’interessano le cifre.
Per quei
casi che dà la conversazione libera, Paul e Marie hanno affrontato l’unità di
misura di una quantità di informazione binaria. Lui ha precisato che una parola
di otto bit è un ottetto, poi una parola tira l’altra, nel programma è comparso
il pixel. Lei ha visto subito che lui ci teneva a spiegarlo. Allora ha
continuato a tenere la bocca aperta, sentiva che a lui faceva piacere. Lo
sapeva lei che un’immagine conta miliardi di pixel? Sì. E meglio di lui (quando
voleva). Ma quella sera aveva voglia d’imparare tutto.
Se conosco gente, mi verrà proposto di certo
qualcosa. E tutto si sistemerà.
La
settimana dopo siamo alla fase del ristorante a lume di candela.
Cottura al vapore. No smoking. Lei, in abito e mocassini
rossi, profumo Sauvage Tsss, lui in blazer blu. La cameriera coi pattini. A
Marie Niro non piace questa moda dei seni siliconati, arrivata dagli Stati
Uniti. Preferisce i seni amatoriali. Vabbè.
Quelli che conoscono un sacco di gente non
rimangono mai a mani vuote. Alla fine li si aiuta sempre. Ma gli altri, quelli
che sono soli, vengono dimenticati.
Per questo vado nella sodaglia tutti i giorni. O quasi.
Il secondo appuntamento di Paul e Marie è al parco acquatico. Vicino all’acquario sperimentale, la guida spiega il processo ecologico e articola la visita su schemi e microesperienze, con – vieppiù – un sintagma ricorrente: Per molto tempo il caso.
Ci sono giorni che non esco di casa. Non ci si può muovere tutti i
giorni quando non si guadagna niente. Ci sono giorni che bisogna recuperare.
Sennò si è nella melma, la melma.
Dopo il terzo appuntamento al self-service “Terroir
mon amour”, quel sabato, Paul ha dormito da Marie, nel ribaltabile del soggiorno che ha una
porta-finestra dalla quale si vede in lontananza la ruota luminosa del Luna Park
accanto allo stadio. Paul dorme otto ore per notte, e spontaneamente. Non ha
sentito l’allarme ai piedi della torre. Ancor meno (grazie ai doppi vetri) il
latrato dei cani da guardia. Nemmeno gli elicotteri. Dorme come un pupetto della
Prénatal, dice lei.
Questo è un luogo infestato di muri e
lampadine nude. Vetri rotti e tubi. Fili elettrici che pendono. Piove dai
tetti, a tratti. Se non ci vengo tutti i giorni è anche per non far credere che
ci pianto radici.
Paul ha bevuto un succo d’arancia garantito senza modif. genet. (Gen. frei), poi mangiato una tazza di Kellog’s. Anche sull’alimentazione sono d’accordo.
Cresce un po’ d’erba tra i sassi. Un po’ di verde.
Ormai è un
mese che Paul e Marie stanno insieme e va tutto bene. Tutto è perfetto, anche
il servizio. Niente lascia a desiderare.
Tutto
considerato, sono molto compatibili l’uno con l’altro.
Vivono
nella stessa città. Pratico. Amano questa città.
Nella torre, i plastici sono nei loro
laboratori.
Buongiorno a tutti!
La cortesia è importante. Interessarsi.
Non fare finta di interessarsi. Interessarsi per davvero. E’ importante. E’ una
delle chiavi del successo. Chi non s’interessa diventa una cosa. Chi vorrebbe
essere una cosa? Una cosa poggiata da una parte e che aspetta d’essere gettata
altrove?
Paul e Marie vivono in una città, con un porto
ricostruito da visitare, spiagge e schermi giganti per videoclip. Paul ha praticato un po’ di surf.
Ora non più. Marie ha fatto un po’ di vela.
Quando avevano vent’anni.
Ieri, i tecnici hanno installato il materiale per i
concerti di rap. Qui l’hip-hop piace molto. E’ un classico.
Sto a guardare come fanno. Ascolto, anche.
Paul e Marie vivono ognuno in un appartamento
chiaro, assolato e climatizzato. A loro piace la luce nelle case, e non l’usanza
locale lucifuga.
Ho intravisto parecchie volte l’amministratore, M.
Lextrait, ma non ho osato parlargli. Ho ruminato delle frasi, ma sapete com’è, non
ci si rivolge a quelli che comandano così.
E dire che c’è gente così a suo agio. Per parlare. Procedere. Per
rivolgersi agli altri. Già dalla lunghezza delle frasi, lo si vede.
Paul e Marie hanno venticinque anni e si faxano messaggi
dall’ufficio, di modo che ognuno abbia ogni giorno notizie dell’altro. Per la
trasmissione, preferiscono il fax all’uso del telefono. Le parole restano.
Preferiscono quelle su carta di contro a certi che se le mandano da schermo a
schermo. A loro piace la tradizione della carta. Due babbioni, dice Doris
Ferlinghetti.
M. Lextrait è
sempre occupatissimo, soprattutto se lo si paragona a me, che non mi muovo. Lui
è sempre in movimento. E’ giovane.
A volte prende
l’aereo la mattina e lo riprende il pomeriggio.
La gente dice
che è un cervellone.
Quando lo
vedo, cammino velocemente, in una direzione qualsiasi.
Non è
difficile camminare velocemente.
Per scrivere a Paul, Marie trascura il trattamento
testi, il carattere che potrebbe chiamarsi Cooper Black o Courier Absalon;
quanto le piace: “Ah, Absalon! Absalon!”
Scrive a mano le parole. Quasi a bastone. Poi le
faxa.
Non voglio
sembrare senza lavoro. Evito anche di tenere le mani in tasca.
Paul non scrive più a mano dai tempi della scuola.
Sceglie Times dimensione carattere dodici. Gli piace questo carattere, dice, è
più intimo, il Times.
Nel cortile mi
piace sedermi sul muretto.
Paul non vuole brillare per cura
(precisione, pignoleria), per quanto ne abbia duecento a sua disposizione sotto
il mouse se scorre la lista. Ma non
vuole l’…… con una lista. Vuole la semplicità.
Qui ci sono scale distrutte che finiscono nel
vuoto.
Talvolta, Paul si
concede un carattere: un Bernhard Modern o, in assenza, un Torino Outline.
Nel cortile, all’entrata della fabbrica
abbandonata, c’è un capanno con un masso sul tetto. Gli zingari hanno chiesto
al direttore di poter recuperare la ferraglia (il capanno è in metallo). Non
sapevano che fosse una scultura. Io lo sapevo.
Col Torino Outline,
Paul è calmo e conciso. Nucleggia senza muoversi (outline), non va verso le
parole, sono le parole che vanno da lui.
Lo stesso giorno degli zingari e della ferraglia,
alcuni farmacisti di “Farmacia senza frontiere” hanno chiesto al direttore un
locale per stoccarvi i medicinali. Il direttore ha detto che c’erano troppi
tossici nel quartiere per mettere su un deposito di medicine senza tirarsi
addosso le ruberie. I farmacisti non ci avevano pensato. Ah! Ah! Qui, dei
medicinali! Che pirla ‘sti farmacisti.
Col Bernhard Modern, Paul si
irrita e rinugina, ha strane voglie.
Il direttore porta spesso un cappello nero. Qui
sono quasi tutti vestiti di nero. Soprattutto quelli che fanno teatro. Quelli
del ristorante no. Quelli del ristorante sono in bianco.
Il mio posto sarebbe più al ristorante che in teatro, con tutto… Se mia
madre mi conoscesse, sarebbe felice di vedermi in un teatro. E’ un mestiere
dove non ci si deve annoiare.
Col Bernhard Modern, Paul si fa paura. Si eccita
pure. Talvolta scrive in Times e all’improvviso si ritrova in Bernhard Modern.
Pensa che sia colpa del soft-ware. Non gli passa neanche per la testa che sia
lui.
Qualunque cosa
accada, evitiamo di essere amari.
Paul Gould è apprezzato nel suo laboratorio. Laddove
si capisce il suo linguaggio, laddove si parla di quel che si lavora senza
semplificare al problematica al punto d’essere grossolani. Fuori dal suo
laboratorio, si trova nella posizione dell’uomo che incontra il beduino mai
uscito dal deserto e davanti quale, per dargli un’idea delle cascate del
Niagara, versa l’acqua di una bottiglia sulla sabbia.
Non ho ancora
osato assistere alle riunioni della gente della sodaglia, anche se molti
credono che io ne faccia parte. In verità non sono né tecno né musico. Non ho
una compagnia di danza con un sito dove sviluppare progetti sull’universo
sensibile, i suoi gesti e il suo linguaggio. Non faccio stage né sono
collaboratore del Sistema Sodaglia Teatro, non sono né cuoco, né giornalista.
Non sono niente. Ma sono pronto a tutto.
Marie non cerca di sapere perché le piaccia la guida
CD-Rom “Fate l’arte da voi” o perché non le piacciano certe cose. Non vuole
analizzare tutto. Vuole che ci sia un po’ di mistero. I love poetry (neon, ferro, corda, 1998).
Un giorno sarò
accettato da loro, alla sodaglia.
Per questo mi
occorre un progetto. “Se non hai un progetto sei morto”.
Anche i morti
hanno progetti. Che ne sappiamo?
Talvolta Marie disegna e faxa un cuore a Paul.
Canticchia: Cuore di rocker, la canzone dei vecchi (senior).
Il ristorante
è ottimo. Dicono. Ma preferisco di gran lunga comprarmi un panino al bar della
Maternità. Panino al pté, dodici franchi. Quando si mangia un panino, si riflette.
Come quando si
piscia all’aria aperta.
Talvolta Marie faxa il suo nome: Paul. O i due
insieme: Paul & Marie, con la e commerciale. Vorrebbe che lui facesse
altrettanto & che i loro nomi circolassero tra Cie & laboratorio
durante le ore di lavoro.
Ci sono
muratori coi capelli bianchi che vengono a pranzare con le tute macchiate.
Mangiano camembert di bassa qualità. Ristrutturano una parte del tabacchificio.
Questa parte accoglierà gli archivi.
Marie Niro non sa perché ha questo desiderio di
nominare, nominarsi, nominarlo. Fin dall’inizio. E’ prematuro, dice Doris
Ferlinghetti davanti alla macchinetta del caffè, soprannominata (la macchinetta)
l’allegato.
–
Un altro bicchiere che cade di traverso. Sei
superstiziosa?
Qualche volta
mi compro una soda alla stazione di servizio, per mandare giù il panino. Una
Pschitt-orange. O una Coca. Senza cannuccia.
Quando vengo
in questa stazione di servizio ho l’impressione di essere in viaggio. Nei
viaggi, ci si ferma nelle stazioni di servizio ai margini delle autostrade. Si
hanno abiti informi perché si starà
seduti per parecchio tempo. Si ha il mal di schiena. Si va a pisciare. Si beve
il caffè in piedi. Ci si massaggia un po’ la schiena su un pezzo di prato
spelacchiato.
Paul vorrebbe inviare a Marie parole d’amore via
mail. Si dà il caso che Marie Niro non abbia e-mail (la porca, digita in
Bernhard Modern).
Davanti alla
sodaglia, la stazione di servizio è il solo negozio della via. La stazione di
servizio si trova proprio tra il bar della Maternità e l’inizio della sodaglia
davanti al tunnel, accanto ai binari. Tutto è a portata di mano.
Forse un
giorno dirò: “Io lavoro qui”.
Marie Niro non starà tutta la vita senza address nella rete. Lui le manderà
allora dei mail, il furbacchione. Per il momento, la raggiunge per altre vie.
Quando si
decideranno a propormi qualcosa? Eppure debbono aver visto la mia obbedienza e
la mia serietà. Impossibile non vederle.
Come non vederle?
Pazienza per la chiocciola dalla quale gli piace far
precedere il suo nome quando le manda un fax d’amore firmato: @Paul.
Talvolta,
credo che non mi proporranno mai niente. Che sarà così per tutta la vita. Per
fortuna, poi mi passa. Tutti i principianti hanno degli alti e bassi. Speranza!
Il sabato sera capita a Paul e Marie di tirar fuori
la possibilità di abitare insieme, in un appartamento o una casa con un
giardino di fiori veri, tubi, quadrati di aiuole, perché no, ma hanno paura di non
farcela, alla lunga; di non sopportarsi.
Non è possibile che mi vedano tutti i giorni
e non mi propongano nulla. Non è possibile.
Paul e Marie hanno visto separazioni, in diretta.
Valigie, pillole, duri processi. E talk-show al riguardo. Per cui vivono ognuno
per conto loro.
Se fosse
possibile, se succedesse spesso che la gente stia lì ogni giorno e non gli si
proponga niente, ci sarebbe ancor più suicidi. La Francia arriverebbe prima in
suicidi e non quarta. Batterebbe la Danimarca. Forse persino la Finlandia che
ha la medaglia d’oro.
Quando Paul e Marie stanno giù, per esempio dopo la
lettura del Monde diplomatique, s’immaginano che la gente
produrrà sempre meno e che sempre più errerà di città in città, e che ci sarà
sempre più gente sola.
Non li si può siringare tutti.
La nostra non è una società di macellai veterinai.
Rischiamo di riaprire i grandi ospedali, i centri, i campi, i manicomi, i foyers , per accogliere questa gente, e
non solo durante l’inverno ma per tutto l’anno. Quando non li si vedrà più per
le strade o per i sentieri, quando non si vorrà più che le orde mettano in
pericolo la sicurezza dei treni, degli autobus, delle auto e i dintorni delle
città. Senza contare i vecchi che si
appiccicano (?) e tutto quel che vendono è senza igiene sui marciapiedi e i
bordi delle strade.
Per il momento, è la vita quotidiana che spaventa
Paul e Marie. La vita quotidiana insieme. Marie lo scrive nel suo diario di
carta. Non si è piegata al diario elettronico come Doris Ferlinghetti.
Non viviamo
nella preistoria.
Paul e Marie, il sabato sera, sono “Happy together”.
Per evitare la routine, l’altra routine, Paul e
Marie hanno pensato all’alternanza. Un sabato dall’uno. Un sabato dall’altro.
Come i figli dei divorziati. Mica stupido, dice Doris Ferlinghetti.
Ieri ho scorto
Gilles Barbier! Organizza feste con gli amici al quinto piano. Vi sono molte
donne carine e simpatiche. Tutti si baciano. E ci si dà del tu.
M. Foulquié,
il direttore, ha paura per la sicurezza se c’è troppa gente nelle feste
clandestine. M. Foulquié ha ragione. Stiamo in una fabbrica abbandonata, non in
un palazzo. Non siamo in un centro culturale con gli estintori dappertutto.
Ecco, ora l’ho detto: “noi”.
Traduzione di Jacqueline
Spaccini (1998)
Jean-Pierre Ostende, Idéal jeune homme,
solution sans projet in Gulliver n°1, Dire le monde,
Paris, Librio, 1998, pp.59-65