mercoledì 30 novembre 2011

Traduzione dell'incipit di HIER di Ágota Kristóf




Ieri 
Ieri, soffiava un vento conosciuto. Un vento che avevo già incontrato. La primavera era precoce. Camminavo nel vento con passo deciso, svelto, come ogni mattina. Avevo però voglia di ritrovare il mio letto e di rimanerci dentro fino a quando non avessi sentito avvicinarsi quella cosa che non è voce né gusto né odore, solo un ricordo vaghissimo, venuto da oltre i confini della memoria. Lentamente, s'è aperta la porta e le mie mani penzolanti hanno avvertito con terrore i peli serici e dolci della tigre.

 - Musica, disse. Suona qualcosa! Al violino o al piano. Al piano, magari, ma suona!  

- Non lo so fare, dissi. Non ho mai suonato il piano in vita mia, non ho un piano, non ne ho mai avuti.

- In tutta la tua vita? Che sciocchezze! Vai alla finestra e suona!

Davanti alla finestra, c'era una foresta. Ho visto gli uccelli riunirsi sui rami per ascoltare la mia musica. Ho visto gli uccelli. Le testoline piegate e gli occhietti fissi che guardavano da qualche parte attraverso me. 

La musica si faceva sempre più forte. Diventava insopportabile. Un uccello morto cadeva da un ramo. La musica si è fermata.

Mi sono voltato.

Seduta in mezzo alla stanza, la tigre sorrideva.

- Per oggi basta così, disse. Dovresti esercitarti più spesso (*).

La traduzione è mia, non conosco quella italiana. 
Ho arbitrariamente modificato il vous francese traducendolo con il tu (invece che con il Lei di cortesia). Perché ritengo che la tigre in italiano dia del tu al narratore (autodiegetico).
L'avrete capito. Il protagonista sogna. Anzi, poverino, soffre di incubi notturni. All'inizio mi ha dato proprio fastidio questo suo francese (che voi leggete qui tradotto in italiano, ma in nota troverete la versione originale), a mezza strada tra Prévert e Camus.
Un francese a metà, che non mi sembrava volutamente elementare, bensì necessariamente e -  con ciò stesso - eccessivamente rigido, inibito, segreto.
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Testo originale:
(*) Hier, il soufflait un vent connu. Un vent que j'avais déjà rencontré. C'était un printemps précoce. Je marchais dans le vent d'un pas décidé, rapide, comme tous les matins. Pourtant, j'avais envie de retrouver mon lit et de m'y coucher, immobile, sans pensées, sans désirs, et d'y rester couché jusqu'au moment où je sentirais approcher cette chose qui n'est ni voix, ni goût, ni odeur, seulement un souvenir très vague, venu d'au-delà des limites de la mémoire. Lentement, la porte s'est ouverte et mes mains pendantes ont senti avec effroi les poils soyeux et doux du tigre. 
- De la musique, dit-il. Jouez quelque chose ! Au violon ou au piano. Au piano, plutôt. Jouez ! 
- Je ne sais pas, dis-je. Je n'ai jamais joué de piano de toute ma vie, je n'ai pas de piano, je n'en ai jamais eu.
- De toute votre vie ? Quelle sottise ! Allez à la fenêtre et jouez !
En face de ma fenêtre, il y avait une forêt. J'ai vu les oiseaux se rassembler sur les branches pour écouter ma musique. J'ai vu les oiseaux. Leur petite tête penchée et leurs yeux fixes qui regardaient quelque part à travers moi.
Ma musique se faisait de plus en plus forte. Elle devenait insupportable.
Un oiseau mort est tombé d'une branche.
La musique a cessé.
Je me suis retourné.
Assis au milieu de la chambre, le tigre souriait.
- Cela suffit pour aujourd'hui, dit-il. Vous devriez vous exercer plus souvent.

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