giovedì 28 marzo 2013

Mathieu Lindon, Il processo di Jean-Marie Le Pen



Il processo di Jean-Marie Le Pen

di Mathieu Lindon





Quando si apre, sono già parecchi mesi che il processo Blistier viene chiamato “il processo di Jean-Marie Le Pen”. Sono i gruppi antirazzisti che per primi l’hanno ribattezzato così e, sull’onda dell’indignazione generale, la formula è stata adottata da stampa e  televisione. Il presidente del Fronte Nazionale non è forse responsabile dell’assassinio compiuto da un militante, un adolescente, infiammato dai suoi discorsi? Non deve forse essere convocato in tribunale, almeno in qualità di testimone?
         L’avv. Pierre Mine si trova coinvolto nel caso. Un giovane di sinistra dalla vita personale molto personale. Difende Ronald Blistier, l’omicida, e non ha saputo spiegare perché, snocciolando ai giornalisti due o tre frasi passe-partout sul diritto di ciascuno a un processo leale. Ha rifiutato ogni intervista, sul fascicolo degli atti processuali e su se stesso. Figlio di avvocati ebrei, Mine ha i capelli lunghi, è elegante, ha trent’anni. Ronald Blistier, il suo cliente, ha il cranio rasato, l’aspetto rozzo e impacciato, l’identikit di un militante del Fronte nazionale come si vede nelle caricature. All’epoca dei fatti, era maggiorenne da pochi mesi. Oggi ha vent’anni. Non attira nessuna simpatia. L’avv. Charles Loups, un nome accreditato, e il suo collaboratore, Xavier Rastaing, preferiscono quanto a loro difendere gli interessi dei genitori della vittima, gratuitamente. Lionel Limassol è il prestigioso sostituto procuratore generale.
         “Hadi, il tuo assassino non rimarrà impunito”, “Hadi, il tuo assassino è Jean-Marie”: i manifestanti sfilano gridando davanti al Palazzo di Giustizia quando ha inizio il processo  con la speranza che alla fine la società si organizzi, che sull’assassino apertamente razzista, si abbatta una condanna esemplare. Con la sua morte, Hadi Benfartouk è diventato il simbolo di tutti quei giovani, quegli esseri, per i quali il colore della pelle è un handicap fatale. Uno slogan ironicamente xenofobo di certi manifestanti è: “Le PEN in Bretagna e la Bretagna indiPENdente”. Opinione vuole che se il processo può ammutolire – foss’anche per un attimo – quelli che dei loro sentimenti più bassi fanno uno stendardo, nessuno potrà contestarne l’utilità.
         Nella sala udienze, la Presidente Rontmartin ricorda i fatti, minacciando di sospendere l’udienza quando la disapprovazione del pubblico diventa troppo evidente. Ma i media hanno istruito gli antirazzisti, i quali si preoccupano di non “fare il gioco del Fronte nazionale”. La serenità dei sostenitori del giovane Arabo, la fiducia, perlomeno dissimulata, che ripongono nella giustizia del loro paese  sono i mezzi migliori per raggiungere i loro scopi, vale a dire il verdetto più severo nei confronti di Ronald Blistier e la chiamata  in causa del suo capo emblematico. Il tribunale fungerà anche da tribuna. Qualche simpatizzante dell’assassino è presente in sala, il mento incassato nel collo. I legali della parte civile hanno annunciato che richiederanno la comparizione di Jean-Marie Le Pen.
         E’ il caso più grosso al quale l’avv. Pierre Mine è confrontato, dacché fa questo mestiere. E’ anzi sulla ribalta: se Jean-Marie Le Pen non sarà interpellato, la scipitezza dell’omicida rischia di fare del difensore il solo nemico all’altezza per coloro che sostengono nella prova la famiglia di Hadi Benfartouk. Il ragazzino aveva quattordici anni quando Ronald Blistier gli tirò addosso come a un coniglio, con la carabina, in piena Parigi. Erano le nove di sera, Blistier e un amico stavano incollando manifesti per il Fronte nazionale, hanno cominciato a prendersela con un Arabo che passava, il ragazzo s’è dato alla fuga, mettendosi a correre, l’assassino l’ha ucciso, come per gioco. Quelli che incollavano manifesti hanno provato a svignarsela, ma i passanti li hanno trattenuti, chiamato i soccorsi, la polizia, ma Hadi era morto sul colpo. L’emozione era stata notevole, e ancora oggi,  quando la Presidente Rontmartin illustra il corso degli eventi, la sala manifesta. Fin dal fermo, Blistier ha riconosciuto  i fatti ed è stato incarcerato. Per spiegare il suo gesto, disse che gli Arabi non gli piacciono, che starebbero tutti meglio se tornassero a casa loro. Hadi Benfartouk era nato in Francia da genitori francesi.
         Fuori, l’atmosfera è meno formale. Circola persino una specie di allegria tra i manifestanti, nello stare tutti insieme, con pieno diritto, in simbiosi morale. Per loro, Ronald Blistier non è abbastanza come assassino, combattere efficacemente Le Pen è richiedere ch’egli venga ufficialmente tirato in ballo nel caso, mostrare che non si tratta del presidente di un partito politico, bensì del capo di una banda di sicari: persino Al Capone avrebbe avuto i suoi elettori. E’ bel tempo, fa un po’ fresco, stanno bene tra di loro. Simili raduni sono stati incoraggiati dai genitori di Hadi Benfartouk. Spinti dalle domande sull’eventuale atteggiamento dell’avv. Mine, hanno sperato che la difesa non facesse ostruzione al pieno chiarimento del caso. Per Mine, è come se gli si chiedesse di non fare ostruzione alla  piena condanna del suo cliente, giacché il caso non sembra nascondere nulla di segreto sul quale far luce, e persino il Fronte nazionale non ha mai richiesto che la legge che punisce l’omicidio venga emendata in funzione della razza delle vittime.
– Gli Arabi non mi piacciono. Ci rubano il lavoro. Non ho avuto un’infanzia felice, dice Ronald Blistier quando la presidente Rontmartin gli rivolge la parola, gettando Mine nello sconforto, tanto un avvocato preferirebbe difendere cento assassini piuttosto che un imbecille. I Neri non sono meglio, eppure non ne ho mai ammazzato uno, aggiunge Ronald Blistier per mostrare che tuttavia non c’è rapporto alcuno tra il delitto compiuto e il suo razzismo. Sì, sono razzista – dice – ma non vado mai all’estero, se gli stranieri non venissero a casa nostra, non avrebbero mai a patire da me.
Mine lo fa tacere, non senza sforzo, ma Blistier ha fiducia nel suo avvocato: non glielo hanno scelto per caso.



(da:   Le procès de Jean-Marie Le Pen
di      Mathieu Lindon, P.O.L., 1998)
 traduzione dal francese di Jacqueline Spaccini


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